Il 2023 è l’anno dei robot (umanoidi)

Robotica umanoide: l’Italia è al crocevia dell’innovazione nel 2023. La sfida è creare automi dotati di intelligenza anche motoria, non solo cognitiva.

Accanto ai noti problemi di contrasto tra le potenze mondiali, all’acuirsi degli effetti del cambiamento climatico, a un difficile momento per le democrazie liberali, il 2023 vede anche un mondo con un tasso di natalità in ulteriore decrescita. Per l’Italia questo numero è pari a 1,25, cioè 1,25 bambini per coppia. Per mantenere una popolazione costante servirebbe un tasso pari a 2,1. Questo vuol dire che nel 2040 il nostro Paese vedrà una forza lavoro ridotta di 3,7 milioni di unità. L’impatto stimato è pari al 15% circa del PIL. Assistiamo a un vero “inverno demografico”.

Fortunatamente, il 2023 ha visto anche due trasformazioni a impatto positivo: una tecnica, l’altra di pensiero. La prima – certamente la più citata mediaticamente – è quella dell’intelligenza generale generativa. La seconda è invece relativa al rilancio del sogno del robot universale. Quest’ultima non è ancora una trasformazione tecnica, ma piuttosto, un cambio nel modo in cui vediamo i robot. Robot universali come quelli di R.U.R., il famoso pezzo teatrale di Kapek che diede origine alla parola ‘robot’. Robot umanoidi, fatti per interagire con l’essere umano, per aiutarlo nei lavori pericolosi e che, stando ai numeri della demografia, anche nei lavori semplicemente troppo faticosi per una popolazione formata per il quasi il 20% da persone con più di 65 anni.

Non dobbiamo aspettare il 2040 per osservare il problema. Basti pensare che già oggi il 70% delle denunce di malattie in ambito professionale riguardano le patologie del sistema muscolo-scheletrico e dei tessuti connettivi.

Il 2023 potrebbe essere ricordato come l’anno nel quale abbiamo smesso di chiederci se i robot umanoidi faranno parte delle nostre vite ma piuttosto quando saranno pronti e cosa potranno fare per noi. Visto il megatrend demografico, forse abbiamo anche una “data di scadenza”. I robot tuttofare ci servono prima del 2040!

Già nel 1495, la mente geniale di Leonardo da Vinci immaginò un automa cavaliere, ricordandoci che l’idea di macchine che emulano la forma umana non è nuova. I robot umanoidi così fatti devono essere dotati di due intelligenze fondamentali: un’intelligenza cognitiva, in grado di permettere all’automa di capire e pianificare le proprie azioni, e un’intelligenza motoria, che permette all’essere artificiale di muoversi e interagire con l’ambiente circostante.

I traguardi raggiunti nel 2023 nel campo dell’intelligenza cognitiva, grazie ai cosiddetti modelli fondazionali e l’intelligenza artificiale generativa ci fanno ben sperare – seppur ancora con qualche limite prestazionale. La vera sfida rimane costruire l’intelligenza motoria, dando alle macchine la capacità di muoversi e interagire con gli esseri umani. Questa è la sfida ultima dell’intelligenza artificiale. Progettare algoritmi che funzionino in millesimi di secondo, consumando pochissima energia e privi di errore; se una risposta sbagliata di un chatbot è, tutto sommato, spesso solo fastidiosa, un calcolo errato in un robot in movimento può avere risultati disastrosi. Abbiamo una sfida enorme davanti a noi, ricreare in qualche anno quanto l’evoluzione ha ottenuto in milioni di anni. Ricreare corpi efficienti, composti da nuovi materiali, con elettroniche neurali veloci, apprendimento da dati scarsi e spesso confusi.

Per fortuna, nonostante l’incredibile sfida, il 2023 ha visto un’effervescenza di start-up impegnate a sviluppare robot umanoidi ‘general purpose’, una sfida condivisa anche dai colossi industriali. La competizione è globale, ma per ora, molti dei nuovi arrivati nel campo della robotica umanoide si concentrano principalmente tra l’America e l’Asia. Accanto al notissimo progetto di Tesla (Optimus), la quale grazie alla galvanizzante energia comunicativa di Elon Musk ha avuto il pregio di rilanciare la sfida degli umanoidi, troviamo, per esempio, la start-up Figure finanziata (pare) per oltre un miliardo di dollari, sino ad arrivare alla cinese UBTech che, già sul mercato dei robot educazionali, ha ora presentato oggetti molto avanzati per un potenziale mercato domestico. Ovviamente non dimentichiamo il robot più agile al mondo – e forse il più pericoloso per peso e velocità – Atlas di Boston Dynamics. Quest’ultimo rimane comunque l’avversario da superare.

Abbiamo necessità di robot versatili, poco invasivi, e che si adattino agli ecosistemi pensati per l’essere umano, come, per esempio, quelli delle diverse realtà manufatturiere del nostro Paese. Tra le collaborazioni strategiche nostrane troviamo quella tra INAIL e l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), che mira a sviluppare robot umanoidi come ergoCub – un’evoluzione del noto robot bambino iCub – capace di alleggerire il carico fisico dei lavoratori e, più in là, prevenire le malattie professionali.

Nel crepuscolo del 2023, l’Italia si trova davanti a una svolta epocale. La robotica umanoide non è più un orizzonte da raggiungere, ma un segmento di mercato su cui si gioca parte del futuro del lavoro e dell’economia. iCub e progetti simili sono di riferimento per tale sfida.

Di fronte al rischio di un “inverno umanoide”, dove la mancata realizzazione di robot utili potrebbe rallentare il progresso per generazioni, dobbiamo osare di più. Dobbiamo partecipare attivamente alla narrazione globale, contribuendo non solo all’innovazione tecnica, ma al progresso condiviso. Sostenere la ricerca e lo sviluppo di robot umanoidi è più che un investimento tecnologico; è un impegno verso il futuro dell’umanità, un passo verso un domani dove tecnologia e uomo coesistono in armonia, per un progresso che sia di tutti e per tutti. Robot che un giorno saranno tassati in quanto produttori di ricchezza e le cui tasse consentiranno il mantenimento di un sistema pensionistico e sanitario di altissima qualità (altra importantissima sfida tecnologica).

Cosa serve per realizzare questa visione: come minimo un campione nella ricerca di frontiera, come per esempio l’Istituto che dirigo (IIT), e un investimento copioso, una partnership pubblico-privata su un progetto pluriannuale e multi-milionario che passo dopo passo ci porti al sogno di robot intelligenti che ci aiutino tanto in fabbrica come in casa.

Robot resi affidabili da un approccio ingegneristico solido e “risk adverse” come quello utilizzato nel campo dell’aviazione civile. Newton pensava che l’uomo non avrebbe mai potuto volare, la storia ha dimostrato che il nostro ingegno ha superato l’ostacolo agevolmente. La prossima sfida dell’ingegneria è quella della robotica umanoide (un pochino) intelligente e per nulla pericolosa.

Giorgio Metta, Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia